Un giorno da Tetra Pak
Tillit è la parola che campeggia nell’ultima slide che mi mostra l’ingegner Cazzarolli, Site Manager di Tetra Pak, prima di farmi fare un giro nell’azienda.
Significa “fiducia” in svedese, paese di origine di questa multinazionale che produce macchine per imballaggi per alimenti in 170 paesi del mondo e dà lavoro a 24.000 persone. Tillit è un palindromo: si legge ugualmente anche da destra verso sinistra, a simboleggiare che la fiducia è un fatto di reciprocità. Ma se qui siamo alla fine della presentazione, ancora più interessante è l’inizio. Riassumo al dott. Cazzarolli che ho incrociato su qualche giornale notizie che riguardano il loro modo di concepire gli spazi e un certo modo di costruire le relazioni interne e concepire i tempi di lavoro. Spiego che a Scuola Coop stiamo lavorando su questi temi anche all’interno di un’attività chiamata “Cittadinanza Cooperativa” e siamo curiosi di conoscere realtà interessanti in vista di seminari e corsi a cui far partecipare, in qualità di testimoni, professionisti che hanno qualcosa di diverso da raccontare. Gli dico anche che in effetti, a parte qualche stringato trafiletto giornalistico, non sono riuscito a trovare granché su Internet (in realtà non avevo ancora guardato su You Tube). La sua risposta mi cattura. La politica aziendale non è quella di farsi molto visibili. I titoli di giornale o gli interventi spot non gli interessano, ma se li chiamano per un confronto serio, allora si muovono ben volentieri.
Con questo inno alla sobrietà e a tenere sotto controllo il proprio ego, ha inizio così il mio piccolo tour in un ambiente molto particolare per gli standard a cui siamo abituati. Un ambiente che ha vinto nel 2012 il premio come miglior posto in cui lavorare in Europa.
La sede è a pochi minuti d’auto dall’uscita di Modena Nord. Siamo seduti in un ufficio molto confortevole. Gli arredi sono in legno, semplici ma moderni. Gli uffici sono trasparenti. Nel senso che le pareti sono in vetro (o qualcosa di simile) e quindi tutti vedono tutti. Durante la nostra chiacchierata un suo collega arriva davanti all’ufficio, ci guarda velocemente e si allontana. Il Dott. Cazzarolli, sembra leggermi nel pensiero e intuire la mia perplessità su questa trasparenza che resuscita in me la preoccupazione per una scarsa privacy, se non addirittura per un modello stile Panopticon, attraverso cui esercitare un ossessivo controllo su tutto e su tutti come accade in molti ambienti di lavoro, posseduti, in questo caso, da un presupposto di sfiducia nei confronti dell’umanità.
Mi spiega che la privacy è garantita dal fatto che gli uffici sono completamente insonorizzati. In effetti non si sente un rumore dall’esterno. Se si deve fare una telefonata nessuno può ascoltare. Ma avere uffici così significa anche alcune cose semplici. Mi spiega infatti che se fossimo stati in un ufficio tradizionale il suo collega avrebbe bussato, interrompendoci, cosa giustificabile solo in caso di necessità. In questo modo invece passa il messaggio che si devono incontrare. Appena avrà finito la riunione con me andrà a cercarlo per sentire di cosa ha bisogno. Certo avrebbero potuto anche usare la posta elettronica, ma in questo modo lo scambio rimarrebbe uno scambio a distanza. E così alla lunga il lavoro si burocratizza oltre al fatto, mi dice, che non sempre le mail son buone per costruire buone relazioni.